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Il Monte Paschi ora è ambizioso, vuole Mediobanca. Disco verde dal Governo.

MPS alza l’asticella. È di venerdì la notizia che ha sorpreso la finanza italiana e il mondo bancario di casa nostra. L’Istituto senese, il più antico al mondo, fondato nel 1472, ha lanciato una OPS (Offerta Pubblica di Scambio) nei confronti nientemeno che di Mediobanca, che fu di Enrico Cuccia. E mentre il CEO di Monte Paschi, Lovaglio, ne parla in una call con gli analisti finanziari la Banca milanese, si dice ne sapesse nulla, non esita a definire ostile l’operazione. Choc pure in Borsa.

Poche ore dopo l’annuncio di piazza Salimbeni, a fronte di un rialzo del 7,7% registrato in positivo dalle azioni della “banca preda”, i Paschi a fine giornata lasciavano sul terreno sette punti percentuali. Segno evidente che i risparmiatori proprio non l’hanno presa bene. La proposta, effettivamente, sembra avere dell’incredibile, date le dimensioni piuttosto squilibrate tra i due attori. Si consideri che Mediobanca vale più o meno il doppio del Monte. Quasi un Davide contro Golia, a ben vedere.

Difficile prevederne sin da ora gli esiti finali ma intanto l’agenzia di rating americana Standard & Poor’s ritiene l’operazione “un ulteriore episodio per un rapido consolidamento del settore bancario italiano”. Certamente. Alla fine, se andasse in porto, il connubio tra la banca toscana e quella meneghina potrebbe dar vita a quello che da tempo si definisce, e si auspica sia, il terzo polo nell’ambito creditizio. Gli altri due, lo ricordiamo, Unicredit e Intesa Sanpaolo.

Insomma, piaccia o non, la cura severa di Luigi Lovaglio pare avere apportato nuova linfa a una banca (MPS, appunto) che, dopo lo sciagurato tentativo di acquisire Banca Antonveneta, nel 2008, in pratica poteva ritenersi fallita. Parliamoci chiaro. In suo soccorso sono intervenuti altri fattori, non certo di poco conto. In primis, l’intervento statale: una nazionalizzazione, unitamente a privati di “peso”, da 30 miliardi circa. Dal 2017 il MEF è il primo azionista a Rocca Salimbeni e, dopo vani tentativi di fusione con Unicredit, lo stesso Ministero, suffragato dalla BCE, alleggerisce il proprio portafoglio di partecipazione. Pur tuttavia, dopo l’ultimo collocamento dello scorso novembre, il Dicastero di via XX settembre, seppure con l’11,2%, rimane l’azionista di maggioranza.

E poi c’è stato l’aumento, a dir poco provvidenziale, dei tassi da parte della Banca Centrale. Una misura che ha lievitato gli utili dei Paschi al punto che, erano tredici anni che mancavano, sono stati distribuiti i dividendi. Ora, come si diceva, bisogna pazientare. Il Ministro Giorgetti, e con lui il governo, si dice d’accordo sulla proposta avanzata dalla banca che egli stesso definisce risanata e pronta per una operazione totalmente trasparente. “Ora è sul mercato” dice. Allude, il titolare del Tesoro, a “piazzare” quel residuo di portafoglio pubblico. Mentre non passa inosservata l’affermazione dell’economista Pietro Reichlin che boccia l’operazione ritenendola un azzardo di Stato.

Pasquale Alfano

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