
Ormai si trovano ovunque, le stai ingerendo ogni giorno - centrostudifinanza.it
Uno studio presentato all’Eshre 2025 ha individuato microplastiche nel liquido seminale e nel fluido follicolare umano: possibili rischi per fertilità e integrità genetica.
Le microplastiche sono state trovate nei fluidi riproduttivi di uomini e donne. A rivelarlo è uno studio presentato al 41° Congresso Eshre, il più importante appuntamento europeo dedicato alla medicina della riproduzione. La ricerca, condotta da un team internazionale e pubblicata in abstract su Human Reproduction, ha sollevato nuovi interrogativi sulla possibile influenza della contaminazione ambientale sulla fertilità umana. I campioni analizzati provengono da 29 donne e 22 uomini sottoposti a trattamenti di procreazione medicalmente assistita. Le analisi hanno mostrato presenza di microplastiche nel 69% del fluido follicolare femminile e nel 55% del liquido seminale maschile. Le particelle identificate includono materiali comuni: PTFE, PET, PP, PA, PE, PS e PU.
Il PTFE (teflon) è risultato il polimero più diffuso, seguito da polipropilene e PET. Per evitare errori e contaminazioni, i campioni sono stati raccolti in contenitori di vetro e sottoposti a una procedura chimica di purificazione, poi analizzati tramite microscopia laser a infrarossi.
Danni potenziali alla qualità dei gameti e alla struttura del DNA
Le microplastiche sono definite come particelle inferiori ai cinque millimetri e ormai si trovano ovunque: nell’aria, nell’acqua, negli alimenti. Il loro impatto sulla riproduzione umana è ancora in fase di studio, ma i risultati emersi in modelli animali fanno riflettere. Secondo Emilio Gomez-Sanchez, direttore di laboratorio presso Next Fertility Murcia, la presenza costante di questi frammenti nei tessuti può causare infiammazione, danni ossidativi, mutazioni genetiche e disfunzioni ormonali. Tutti fattori potenzialmente in grado di compromettere la qualità degli ovociti e degli spermatozoi, alterando la fertilità.

Al momento, lo studio non stabilisce una relazione diretta tra presenza di microplastiche e calo della fertilità, ma pone una base concreta per indagini più approfondite. I ricercatori vogliono ora espandere il campione, includere test genetici e raccogliere informazioni ambientali e comportamentali per delineare un quadro più chiaro. A destare particolare attenzione è il fatto che alcuni polimeri identificati provengano da fonti domestiche e alimentari, come contenitori per cibo, bottiglie di plastica, pellicole e stoviglie usa e getta.
Cosa fare per ridurre l’esposizione: indicazioni utili dai ricercatori
Nonostante l’impatto mediatico della notizia, gli autori invitano alla cautela. “Non serve allarmarsi, ma è sensato ridurre l’esposizione”, afferma Gomez-Sanchez. Tra i consigli: evitare il contatto diretto con contenitori in plastica, in particolare durante il riscaldamento degli alimenti, e limitare l’uso di bottiglie d’acqua monouso, preferendo il vetro o l’acciaio.
L’obiettivo, spiegano gli studiosi, è limitare l’ingestione inconsapevole di frammenti plastici, spesso invisibili ma capaci di entrare nel corpo e raggiungere i tessuti più delicati, tra cui quelli legati alla funzione riproduttiva.
Per Carlos Calhaz-Jorge, già presidente dell’Eshre, questi dati sono “un segnale d’allerta che dovrebbe portare a una maggiore responsabilità ambientale e individuale. Ridurre l’uso quotidiano della plastica, in tutte le sue forme, è un primo passo per tutelare la salute riproduttiva futura”.
Lo studio, pur preliminare, apre una finestra inquietante su un fenomeno finora sottovalutato. Le microplastiche, ormai onnipresenti, potrebbero non essere solo una minaccia per l’ambiente, ma anche per l’equilibrio biologico umano. I prossimi mesi diranno se questa scoperta rappresenterà un punto di svolta nella ricerca su fertilità e contaminazione chimica.