
TFR a rischio - (centrostudifinanza.it)
Come gestire il TFR? Ecco tutto quello che c’è da sapere per non ritrovarsi con brutte sorprese economiche
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) rappresenta un’importante risorsa economica per i lavoratori dipendenti, accumulata nel corso degli anni come forma di tutela al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, non sempre questo “tesoretto” arriva effettivamente nelle mani dei lavoratori, a causa di diverse situazioni che possono determinare la perdita di questo diritto fondamentale.
In Italia, il rischio di vedersi negato il TFR non è solo teorico: spesso la mancata corresponsione dipende da inadempienze del datore di lavoro o da crisi aziendali gravi come il fallimento. Scopriamo insieme quali sono le circostanze più comuni che comportano il rischio di perdere il TFR e le strategie che la legge mette a disposizione per tutelare i lavoratori.
Il rischio di perdere il TFR
Il diritto al TFR si matura indipendentemente dall’effettivo accantonamento da parte del datore di lavoro, che è obbligato per legge a versare annualmente una quota pari al 6,91% della retribuzione annua percepita, rivalutata ogni anno. Tuttavia, non sono rari i casi in cui il datore di lavoro, per difficoltà economiche o negligenza, non versi regolarmente queste somme. In tali casi, il lavoratore non perde immediatamente il diritto al proprio trattamento di fine rapporto, ma deve attivarsi tempestivamente per farlo valere.

Il primo passo fondamentale consiste nell’inviare una diffida formale di pagamento, preferibilmente tramite raccomandata o posta elettronica certificata (PEC), in cui si richiede con precisione l’ammontare del TFR spettante indicando la data di cessazione del rapporto di lavoro e ogni dettaglio utile a ricostruire la propria posizione. Se il datore di lavoro continua a non pagare, la legge consente di rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro per un tentativo di conciliazione, un procedimento non obbligatorio ma spesso più rapido e meno oneroso di una causa.
Quando anche la conciliazione fallisce, l’ultima risorsa è l’azione giudiziaria, che può concretizzarsi nel ricorso al decreto ingiuntivo (se il credito è certo e documentato) o in un contenzioso ordinario davanti al Tribunale del Lavoro nel caso ci siano contestazioni sul rapporto di lavoro o sull’importo del TFR.
Un aspetto cruciale da non sottovalutare è il rispetto dei termini di prescrizione: il diritto al TFR si prescrive in 5 anni dalla cessazione del rapporto. Se il lavoratore non compie atti per interrompere la prescrizione, come una diffida o un’azione legale, rischia di perdere definitivamente il credito. Inoltre, è indispensabile conservare tutta la documentazione utile, come buste paga e contratti, che dimostri la durata del rapporto e l’ammontare del TFR maturato. Senza prove scritte, ottenere giustizia diventa molto più arduo.
Un errore frequente è anche quello di accettare accordi verbali o pagamenti parziali senza alcun documento scritto, che poi impediscono di rivendicare il saldo residuo in futuro. Per questo motivo, è sempre consigliabile farsi assistere da un legale o da un sindacato per evitare di perdere diritti maturati con anni di lavoro.
Quando un’azienda fallisce o si trova in grave crisi finanziaria, i lavoratori spesso temono di non ricevere mai il proprio TFR. In realtà, la normativa italiana prevede un’importante tutela attraverso il Fondo di Garanzia dell’INPS, istituito proprio per garantire ai lavoratori il pagamento del trattamento di fine rapporto in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Per accedere al Fondo, è necessario che il rapporto di lavoro sia cessato e che si attesti formalmente lo stato di insolvenza del datore attraverso una procedura concorsuale come il fallimento, il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale.