L’Abaco sembra sia stato il primo libro di computisteria, pubblicato in Italia nel 1202. Leonardo Pisano (detto Fibonacci), l’autore, ritenuto uno dei più grandi matematici di sempre, si esprime in esso attraverso il sistema decimale arabo, totalmente sconosciuto all’epoca, che nella seconda parte del XIII secolo, sostituirà progressivamente i numeri romani, inadatti per calcoli aritmetici.
Nell’opera di Benedetto Cotrugli “Della mercatura o del mercante perfetto” si riscontra il primo accenno alla Partita Doppia. Ma, essendo stata pubblicata postuma, essa fu anticipata dal trattato di frate Luca Pacioli da Borgo San Sepolcro. Il religioso, matematico anch’egli, amico di Leonardo da Vinci, “arriva in edicola” ottant’anni prima del Cotrugli, con un’opera più vasta che comprende il “Tractatus XI particularis de computis et scripturis”. Nei 36 capitoli che compongono il Trattato si parla delle prime note, dell’inventario, delle regole per approntare le scritture contabili, per comporre il bilancio e addirittura per rimediare agli errori oltre che del libro giornale. Per la sua vastità, si è ritenuto che l’opera non fosse tutta del monaco. Si tratterebbe di una riedizione, ampiamente estesa, dell’opera di un anonimo.
Giovanni Antonio Tagliente, nel suo lavoro “Luminario di aritmetica, libro doppio”, stampato a Venezia nel 1525, antepone per la prima volta la preposizione “a” al conto avere di una scrittura di contabilità. Precedentemente era stato il simbolo “//” a separare il conto dare dal conto avere.
Il 1795 è l’anno dal quale cominciano a proliferare le teorie sulla Partita Doppia. Più precisamente il francese Edmond Degranges pubblica “La tenue des livres rendue facile”, dove illustra, in maniera ampia ed esaustiva, l’applicazione del metodo alle imprese mercantili. Introduce per primo i totali di fine pagina del libro giornale e del bilancio di verifica che lo portano ad “inventare” il giornalmastro. Degranges viene definito cinquecontista, in quanto mette in atto una teoria secondo cui sarebbero bastati solo cinque conti a sviluppare la contabilità di un’azienda. Sono i conti Cassa, Merci, Cambiali attive, Cambiali passive e Perdite e Profitti. Le teorie dell’ottocento furono talmente numerose da generare in Italia due scuole. Quella personalistica fondata all’inizio da Francesco Marchi, sviluppata poi da Giuseppe Cerboni. E quella dei conti a valore. Di quest’ultima fece parte Francesco Villa, primo docente universitario di ragioneria, ritenuto il padre della ragioneria italiana e dell’economia aziendale. La scuola dei conti a valore non può prescindere da Fabio Besta che, con la sua Scuola veneziana, ne decretò in pratica il successo. Del Besta parleremo tra poco in maniera approfondita. Diamo prima qualche cenno al Cerboni, dell’opposto pensiero.
Giuseppe Cerboni
Nasce a Marciana Marina nel 1827 e diventa Ragioniere Generale dello Stato, l’indomani dell’unificazione d’Italia. Esponente, come detto, della teoria personalistica, egli sostiene la Logismografia, un metodo molto particolare di doppie scritture, che riesce ad applicare alla stessa Contabilità di Stato. In pratica, esisterebbero due soggetti, il proprietario e l’agenzia, antitetici tra loro. L’agenzia sarebbe costituita da tutti i soggetti aventi a che fare col proprietario. Quindi il cassiere, il magazziniere, il cliente, il fornitore e via dicendo. Le sezioni dare e avere del conto sono interpretate in maniera letterale del termine, tali da esprimere un diritto o un obbligo. L’antitesi si traduce in un dare del proprietario cui fa riscontro un avere della agenzia. O viceversa. Per meglio intendere, il proprietario risulta creditore delle attività e debitore delle passività. Di contro, l’agenzia sarà creditrice delle passività e debitrice delle attività. (Nel vendere una certa merce sarà il proprietario a dover dare (per la diminuzione di merce) e l’agenzia dovrà avere per lo stesso antitetico motivo. Invece, a fronte dell’incasso, l’agenzia dovrà dare e il proprietario dovrà avere). Ma l’applicazione del metodo logismografico, pur ottenendo ampi successi, durerà ben poco, soprattutto per il contrapporsi di Fabio Besta, esponente, come detto, della teoria dei conti a valore. Vediamo, in estrema sintesi, da vicino l’opera del Besta, da sempre ritenuto Maestro della ragioneria.
Fabio Besta
Egli nasce in provincia di Sondrio nel 1845. Di origini nobili, consegue il diploma di ragioniere all’ITC De Simoni del capoluogo. Fu notato dal Ministro Luigi Luzzatti in occasione delle prime opere pubblicate. E già a ventisette anni si aggiudica la cattedra di ragioneria alla Ca’ Foscari di Venezia, la scuola di commercio divenuta ben presto la sua scuola veneziana. È storica la sua frase “la teorica non possa mai dalla pratica dissentire” con cui tiene lontane le speculazioni filosofiche e scientifiche del tempo. Per il Maestro appare fondamentale studiare da vicino ogni vicenda aziendale rendendola quale base per sviluppare al meglio la materia ragionieristica. Nettamente contrario alla teoria del Cerboni, Fabio Besta diffonde quella dei conti a valore con cui “conia” in modo razionale la teoria del sistema patrimoniale. È stato il primo a tenere distinto il metodo dal sistema, molto spesso confusi tra loro, in quegli anni. Ha sempre evidenziato la necessità di non ridurre lo studio della ragioneria alle sole rilevazioni contabili. Definendo la stessa “scienza del controllo economico”. In altre parole, vengono studiati tutti gli aspetti economici dei fatti che si susseguono nella vita di un’azienda e, di essi, le cause che li determinano e gli effetti che ne derivano. Conoscenze che diventano indispensabili nel dirigere, in maniera adeguata, una attività economica. C’è un solo neo nella teoria. Il Maestro esclude la possibilità di studiare la gestione aziendale con l’ausilio di una sola disciplina, perché l’oggetto della produzione varia da un’impresa all’altra. Dimenticando però che gli aspetti economico-finanziari sono il comune denominatore in ogni tipo di attività.
Gino Zappa
Milanese di nascita, di oltre trent’anni più giovane del Besta, ne frequenta la scuola a Venezia, dopo aver conseguito il diploma di ragioneria e la licenza liceale. Alla Ca’ Foscari fu ricercatore e insegnante. Nel 1906 Besta lo propone alla Scuola Superiore di Commercio di Genova dove rimane per quindici anni. Poi di nuovo alla cattedra veneziana, già resa famosa da Besta. Zappa insegnerà anche alla Bocconi della sua Milano dove “fonderà” la scuola milanese di ragioneria. Lascia, nel ’50, per sopravvenuta cecità; ma continua a studiare e a pubblicare con l’aiuto dei familiari. Fino al 1960, anno della sua scomparsa nel capoluogo veneto.
“Il reddito d’impresa” è la sua opera più rappresentativa. Con essa Zappa imposta il sistema del reddito, antitetico al sistema patrimoniale promosso dal suo Maestro Fabio Besta. Ci furono diverse pubblicazioni, quella definitiva nel 1937. Ancor prima, nel 1927, la prolusione che pronuncia all’inizio dell’anno accademico alla Ca’ Foscari diventa un autentico manifesto per la nascita dell’economia aziendale, autentica svolta innovativa in ragioneria.
Nel 1955 il Presidente della Repubblica gli conferisce il titolo di Professore Emerito, degno riconoscimento per la passione con cui si era dedicato all’insegnamento universitario.
Zappa sostiene, fino a definirla esigenza dottrinaria, la connessione tra organizzazione, gestione e rilevazioni. Definisce imprescindibili, l’uno con l’altro, i tre momenti. E li definisce capitoli della stessa scienza, non certo scienze affini.
Nonostante qualche inevitabile incomprensione e polemica con i “seguaci” di Besta, il pensiero di Gino Zappa risulta ancor oggi dominante.
Alberto Ceccherelli
(1885-1958) pur essendo stato tra questi ultimi, si tirò fuori dalla sterile disputa e non disdegnò l’accettare le novità introdotte dallo Zappa. Fu un convinto sostenitore dell’Economia Aziendale, che riteneva venisse prima dei tre momenti salienti di organizzazione, gestione e rilevazione. La ragioneria, secondo Ceccherelli, oltre a rilevare, deve interpretare l’amministrazione e, di conseguenza, trarre le conclusioni utili per un corretto orientamento della gestione.In ultimo occorre ricordare
Aldo Amaduzzi
il più contemporaneo tra gli studiosi elencati, essendo scomparso nel ’91. Tarantino di nascita, approda anch’egli alla Ca’ Foscari, divenendo allievo di Gino Zappa. Che condivide, ma le cui teorie vengono arricchite da spunti personali. Definisce l’Economia Aziendale come scienza della fisiologia e della patologia aziendale, adatta quindi a scoprire le leggi che possano mantenere, migliorare e ripristinare le condizioni per l’equilibrio aziendale. Ha, per così dire, rielaborato il sistema del reddito rendendolo “sistema del capitale e del risultato economico” perché esso si fonda sulla contrapposizione dei fatti finanziari ed economici, tipici della gestione sia nell’azienda che fa impresa, sia in quella di erogazione. Sostenendo, alla fine, che azienda ed impresa sono solo sinonimi. Ha diretto il Trattato di Ragioneria edito da Utet.