Opportunità e criticità del mercato italiano del PE.
Il tema delle piccole e medie imprese italiane si caratterizza per le difficoltà di crescita dimensionale causate dal ricorso al solo indebitamento bancario. In questo panorama il Private Equity, che è una struttura relativamente recente nel nostro paese, ha avuto una notevole evoluzione ponendosi come alternativa per le imprese italiane.
Il Private Equity è un’attività di investimento istituzionale posta in essere tramite acquisizione di partecipazioni significative nel capitale di rischio di un’impresa con un’ottica di medio-lungo termine. La definizione dell’AIFI [1] è la seguente:”Attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa oggetto di investimento ai fini della sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine” [2].
Questa attività di investimento si sta ritagliando fette sempre più importanti del mercato, posizioni di primo piano che portano i teorici e non solo, a considerarlo come uno dei fattori di maggior cambiamento configurandosi all’interno del sistema economico/finanziario globale, come un asset class[3]di primaria importanza mediante il quale i grandi investitori istituzionali possono adeguatamente diversificare le proprie strategie di investimento, stante un profilo rischio/rendimento di non facile identificazione.
I soggetti attivi in questo settore sono “imprenditori del rischio che mettono insieme spirito imprenditoriale, competenze di scienziati, tecnici, capacità manageriali, finanziarie ed organizzative, contatti nazionali ed internazionali, e capitale di rischio proprio e di altri per promuovere nuove imprese, per rivitalizzare e lanciare in un nuovo ciclo di sviluppo vecchie imprese, per stimolare imprese minori a raggiungere più adeguate dimensioni, e per sviluppare e diffondere, in forma di impresa, nuove tecnologie”[4].
L’investitore e la Corporate Governance.
Gli investitori istituzionali nel capitale di rischio sono soggetti che, oltre a fornire capitali finanziari, si pongono l’obiettivo di rivestire un ruolo attivo nella gestione dell’impresa prefigurandosi quindi come veri e propri partner. Questa affermazione trova riscontro in alcune indagini di mercato, condotte dall’EVCA e da Coopers & Lybrand[5], in cui si mette in luce come, più della metà degli intervistati, abbia sottolineato positivamente il ruolo degli investitori istituzionali qualificandolo come quello di veri e propri partner.
Questa indagine fa capire meglio le metodologie con cui gli investitori istituzionali gestiscono i loro investimenti, ma permette anche di specificare come i gradi di partecipazione dell’investitore, nell’ambito di un’operazione, siano molteplici e possano essere distinti, anche nel modo più semplice, tra: investitori attivi (hands on), presenti nell’indagine precedente, e passivi (hands off), che si limitano a fornire capitale azionario.
Un’indagine di MacMillan, Kulow e Khoylian[6] ha permesso di individuare una serie di tipologie di investitori in base al loro grado di coinvolgimento nell’investimento[7]:
– Investitori caratterizzati da bassissimo coinvolgimento nella gestione dell’azienda partecipata, il cui ruolo fondamentale è quello di “fungere da cassa di risonanza”, di facilitare i contatti con altri investitori ed effettuare consulenza all’azienda in merito all’ottimizzazione della struttura finanziaria;
– Investitori caratterizzati da un maggiore coinvolgimento nella gestione della partecipazione, che oltre alle funzioni elencate in precedenza, intervengono in diversi aspetti riguardanti il management dell’azienda e la risoluzione di crisi e problemi che possano aumentare il rischio dell’investimento;
– Investitori caratterizzati da un elevato coinvolgimento nell’impresa finanziaria, il cui ruolo nell’azienda risulta molto attivo e, oltre alle funzioni delle due precedenti categorie, partecipano alla formulazione di piani di marketing e gestione operativa.
In un’altra indagine da ricondurre a Gorman e Sahlman[8] si può riscontrare una diversa classificazione che muove dalla natura del progetto di investimento distinguendoli in:
– Finanziamento dell’avvio, in cui l’investitore leader dedica un ammontare di ore lavorative sicuramente superiore al doppio di quelle riguardanti aziende in fasi avanzate di sviluppo, utilizzate sia per analizzare l’investimento che per visitare l’azienda;
– Finanziamenti con investitore non principale, il quale avrà un minor grado di coinvolgimento nella gestione del portafoglio di aziende partecipate.
[1] Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital.
[2] Delibera del Consiglio Direttivo AIFI, 22 luglio 2004.
[3] “Le asset class sono delle classi di investimenti finanziari che possono essere distinte in base a delle proprietà peculiari come per esempio liquidità e strumenti assimilati”. Gompers Paul, Harvard University.
[4] Marco Vitale, Presidente AIFI, 1987.
[5] EVCA, Coopers & Lybrand, The Economic Impact of Venture Capital in Europe, pubblicazione interna.
[6] MacMillan I.C., Kulow D.M., Khoylian R., Venture capitalist’s involvement in their investments: extent and performance, Journal of Business Venturing, 1988.
[7] Gervasoni A., Sattin F., Private Equity e Venture Capital, il Mulino, 2004.
[8] Gorman M., Sahlman W.A., What do venture capitalist do?, Journal of Business Venturing, 1989.