Introducendo il concetto di ammortamento, è opportuno che si parli dei costi, distinguendo quelli d’esercizio da quelli pluriennali. Il costo, per definizione, è costituito dall’esborso monetario per l’acquisizione di elementi necessari per la produzione di beni o di servizi. Sono costi di esercizio quelli sostenuti per beni o servizi che esauriscono la loro utilità nel corso di un ciclo produttivo (merci, materie prime, energia elettrica, consulenze).
I costi pluriennali
Un costo pluriennale invece è quello che si sostiene per beni la cui utilità si riflette su più cicli produttivi (impianti, macchinari, attrezzature, avviamento, spese d’impianto, brevetti). L’ammortamento è lo strumento tecnico-contabile che ci permette di calcolare la quota annuale di un costo pluriennale.
Il libro dei cespiti, pur non essendo più obbligatorio, costituisce comunque un valido strumento di scritture, dove viene eseguito il piano di ammortamento. Le schede (pagine) sono la storia contabile di ogni singolo cespite, rilevandone il valore di acquisto, le quote annue di ammortamento, il valore residuo da ammortizzare, la consistenza del fondo a fine periodo, eventuali rivalutazioni o svalutazioni periziali. L’estinzione contabile della singola scheda del libro cespiti è dovuta alla vendita del bene, o alla sua dismissione. Dovuta, quest’ultima, alla esclusione dal ciclo produttivo, ad una eventuale rottamazione o perdita per eventi straordinari.
Il calcolo degli ammortamenti
Gli elementi necessari per il calcolo dell’ammortamento sono il costo originario del bene, il suo presunto valore di realizzo e la sua durata utile.
Il costo originario del bene è costituito dal valore imponibile esposto in fattura cui si aggiungono le spese notarili e mediazione (nel caso degli immobili, se strumentali per l’attività), il costo per installazione(impianti), le spese di collaudo (macchinari), o quelle di trasporto (mobili ed attrezzature). Per il valore presunto di realizzo, è bene precisare che ormai è divenuto uso comune considerarlo pari a zero. Ne consegue che, il valore da ammortizzare, espresso di regola dalla differenza tra costo originario e valore di recupero, risulta in pratica coincidente col costo di origine del bene.
Questo fa sì che la sua eventuale dismissione farà rilevare a suo tempo una plus o minusvalenza d’esercizio che fiscalmente porterà ad una separata tassazione o ad una giustificata detrazione di imposta. Determinare la durata utile del bene non è sempre agevole dovendone considerare il logorio fisico durante il suo impiego nel processo produttivo, ma anche la sua “inevitabile” svalutazione tecnologica (obsolescenza). Il rapporto tra il costo d’origine di un bene pluriennale e la sua presunta durata ne determina il coefficiente di ammortamento. E’ ovvio che più si riduce il tempo di durata più sarà alto il coefficiente. Il D.M. del 31/12/1988 detta i coefficienti massimi (fiscali) consentiti.
L’ammortamento in conto
Sono due i metodi di ammortamento a seconda se un bene è materiale o immateriale. Nel primo caso si procede con l’ammortamento indiretto: la contropartita del costo sarà una posta rettificativa numeraria (fondo di ammortamento) Nel secondo si interviene direttamente nell’avere del conto di costo pluriennale (ammortamento in conto o diretto).
Le quote annue di ammortamento sono generalmente espresse in rate di importo costante. Ciononostante, alcune volte esse possono anche essere di importo decrescente: quando, per esempio, si prevede un maggiore deterioramento del bene nei primi anni di impiego nella produzione, od anche quando si suppone che vi possa essere una maggiore obsolescenza tale da accorciarne la vita produttiva o rendere antieconomico un utilizzo forzato di un bene da sottoporre più volte a riparazione.
Non sono ammesse, invece, le quote crescenti, escluse per motivi prudenziali dal Codice Civile.
L’aspetto fiscale fino al 2008
Fino all’applicazione della Legge Finanziaria 2008 erano consentiti gli ammortamenti anticipati, quelli accelerati e persino quelli ridotti. Si trattava di riconoscere fiscalmente la possibilità per i primi tre esercizi dall’acquisizione del bene strumentale di anticipare la quota che riguardava l’esercizio successivo (in pratica una quota raddoppiata); questo in merito all’ammortamento anticipato.
L’ammortamento accelerato e quello ridotto, di contro, erano frutto di specifiche valutazioni circa un uso più o meno marcato del cespite durante la sua vita utile. Molto spesso si ricorreva a perizie tecniche che attestavano il giusto grado di deterioramento della immobilizzazione.
L’unica superstite di questa mini rivoluzione fiscale del 2008 è la possibilità di rilevazione al 50% della quota di ammortamento che riguarda l’esercizio in cui un bene viene acquisito. Vale la pena precisare che esiste una differenza sostanziale tra la data di acquisizione del bene e la data in cui lo stesso comincia a funzionare. La seconda, tra le due date, è quella da cui il Fisco riconoscerà la deducibilità dell’ammortamento. Rimane immutata anche la norma che prevede l’ammortamento integrale nell’esercizio di acquisizione per i beni inferiori ad euro 516,46. E’ appena il caso di accennare agli attuali super e iper ammortamenti. In un certo senso essi fanno da contrappeso alle norme abolite. Rilevano benefici attraverso il riconoscimento di crediti d’imposta.