Il Patto di Famiglia è uno strumento ancora poco usato dalle nostre PMI, anche perché relativamente recente (è stato introdotto dal nostro Legislatore soltanto nel febbraio 2006, con gli art. 768 bis-octies del Codice Civile); senz’altro però è utile prenderlo in considerazione, soprattutto perché garantisce, al momento della successione, un passaggio generazionale stabile, frutto di accordi condivisi e meditati già da tempo tra imprenditori e successori.
Una domanda che spesso il consulente di un’impresa si sente porre, soprattutto se l’imprenditore è sensibile al tema del passaggio generazionale, è: “Posso stipulare, fin d’ora, un contratto con cui trasferisco l’azienda o le mie quote societarie ad uno o più dei miei figli?”.
La risposta oggi è sì, e lo strumento per farlo è il Patto di Famiglia.
Fino al 2006, i Patti di Famiglia, non disciplinati dalla legge, restavano un’opportunità lasciata all’autodisciplina dei singoli, ed erano limitati anche dal divieto di patti successori, cioè di stipulare contratti su una successione ancora da aprirsi (art. 458 C.C.); la loro efficacia giuridica era dunque piuttosto scarsa, anche se si potevano prevedere delle penali per il loro mancato rispetto. Ora, con la legge 14/2/2006, n. 55, entrata in vigore il 16 marzo 2006, è stata introdotta nel nostro ordinamento una deroga a questo divieto per quanto riguarda la successione d’azienda, e viene data precisa disciplina al Patto di Famiglia, con l’introduzione degli artt. 768 bis-octies C.C..
All’art. 768 bis si definisce “patto di famiglia” il “contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.
Si consente in tal modo di regolare con un contratto il passaggio generazionale dell’impresa, agevolandone la continuità, conformemente a quanto indicato in ambito comunitario (Comunicazione della Commissione Europea, del 28/3/98), consentendo di “programmare” in vita il passaggio generazionale dell’azienda individuale, o gli assetti della società di famiglia.
Il patto di famiglia va stipulato per atto pubblico, a pena di nullità, e vi devono partecipare il coniuge e tutti i legittimari.
La disciplina introdotta con la l. 55/2006 intende, come scopo primario, garantire la stabilità degli atti di trasferimento dei beni oggetto del patto e la tutela dei legittimari che, a seguito dell’accordo, risultino esclusi dalla gestione dell’impresa. Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni devono, pertanto, liquidare gli altri partecipanti al contratto, se questi non vi rinunciano, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote che avrebbero dovuto ricevere; i contraenti possono convenire che la liquidazione avvenga in natura. I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito dal contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti; l’assegnazione può essere disposta anche con successivo contratto che sia espressamente dichiarato collegato al primo e purchè vi intervengano i medesimi soggetti che hanno partecipato al primo contratto o coloro che li abbiano sostituiti (art. 768 quater C.C.).
Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione né a riduzione sui beni oggetto del patto, una volta aperta la successione dell’imprenditore. Quindi, possiamo affermare che la differenza principale tra donazione d’azienda e patto di famiglia è che il secondo ha l’effetto di consentire la trasmissione definitiva dell’azienda, evitando che, successivamente all’apertura della successione dell’imprenditore, siano esperibili l’azione di riduzione (azione che consente ai legittimari, lesi per
effetto di donazioni o disposizioni testamentarie, di reintegrare la propria quota) o di collazione (conferimento, da parte dei beneficiari di donazioni, dell’oggetto di tali donazioni, avvenute quando l’imprenditore era ancora in vita, per mantenere la proporzione tra i coeredi).
Chi sono i partecipanti ?
L’art. 768- quarter, comma 1, c.c., dispone : Al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero leggittimari ove in quell momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore. Alla base della norma sopra citata si pone la fondamentale esigenza di certezza del diritto e di massima stabilità nella trasmissione dell’azienda familiare , esigenza che viene garantita coivolgendo necessarimente tutti I discendenti ed il coniuge nel contratto ma al contempo escludendo che legittimari in quell momento ignoti possano mettere in discussione il contratto stesso.
Possono inoltre partecipare al contratto coloro che potrebbero divenite legittimatari a seguito di modificazioni dello stato familiare dell’imprenditor, con il risultato di rendere il contratto opponibile anche costoro.
I Leggittimatari o eredi necessari o riservatari sono quei soggetti , legati al de cuius da un vincolo di parentela o coniugio.
Essi sono : Coniuge, Figli legittimi, Figli naturali, Ascendenti legittimi .
Ai figli legittimi sono equiparati I legittimati e gli adottivi. Inoltre la legge riserva gli stessi diritti anche ai discendenti dei figli legittimi o naturali , che siano a questi ultimi subentrati nella successione per rappresentazioni.