Le prime definizioni degli Etf descrivevano tali strumenti come “fondi indicizzati scambiati sul mercato”. Definizione di per sé riduttiva, viste le potenzialità che già allora il prodotto sembrava mostrare, ma soprattutto alla luce delle nuove evoluzioni. Infatti, se non c’è dubbio che tra i motivi del successo degli Etf ci siano la trasparenza e i costi contenuti che l’indicizzazione e la gestione passiva assicurano, la storia più recente sta dimostrando che tali prodotti possono
anche sviluppare con successo una strategia attiva.
In questi mesi in effetti hanno fatto la loro comparsa in Italia (dopo un loro primo approdo negli Stati Uniti), i primi Etf di seconda e terza generazione, cosiddetti Etf “attivi”, che per definizione hanno come obiettivo di battere il benchmark, piuttosto che replicarlo.
Il meccanismo di funzionamento non differisce dagli Etf “passivi”: come questi ultimi, infatti, essi si limitano fondamentalmente a replicare un indice; è piuttosto la caratteristica dell’indice replicato a variare rispetto agli Etf tradizionali. Si tratta di panieri costituiti ad hoc, perciò detti fund friendly indexes, che in base al criterio di selezione dei titoli si distinguono in indici fondamentali e indici quantitativi. Gli Etf, di conseguenza, si conformano alle caratteristiche degli indici che replicano.
Gli indici fondamentali costituiscono il riferimento per gli Etf di seconda generazione; essi selezionano i titoli in base ai tipici indicatori di bilancio (cash flow, dividendi, patrimonio netto, fatturato), rilevando gli opportuni segnali di sopravvalutazione o sottovalutazione e cercando di
cogliere occasioni di extraprofitto. A differenza dei tradizionali indici di capitalizzazione questi ultimi presentano il vantaggio di essere pressoché neutri alle variazioni nella capitalizzazione delle società. Negli indici tradizionali, infatti, più un titolo si apprezza, più aumenta il proprio
peso all’interno del basket. In questo modo gli strumenti finanziari che lo replicano si ritrovano automaticamente ad investire di più in un titolo che può rivelarsi caro. Selezionando le azioni in base a indicatori di bilancio, invece, una società aumenta il proprio peso nel paniere solo se aumentano determinati parametri. Nel mercato Etf-plus di Borsa Italiana sono già quotati alcuni Etf fondamentali, emessi da Lyxor e PowerShares, che hanno come sottostante indici sviluppati
dagli analisti della società Research Affiliates, gli indici RAFI (Research Affiliates Fundamental Index). Il metodo RAFI prevede una selezione del peso dei titoli all’interno del basket basata su quattro indicatori di bilancio: media dei ricavi, media dei flussi di cassa, media dei dividendi,
calcolati su un periodo di cinque anni, e patrimonio netto. Tutti i fattori contribuiscono alla formazione di un
fair value, che viene poi confrontato con il valore di borsa attuale della società, per ricavarne segnali di
sopra/sottovalutazione.
Gli Etf di seconda generazione sono però fondamentalmente ancora fondi passivi. Il passo
decisivo lo compiono gli Etf di terza generazione, o quantitativi, che replicano indici il cui modello di selezione dei titoli è realmente orientato alla generazione di alfa, ovvero di extrarendimenti nei confronti del mercato. Questi indici selezionano le società in base a modelli deterministici, attraverso i quali, effettuando uno screening costante su un elevato numero di titoli, si definisce una classifica di appetibilità. Da tale classifica solo i titoli migliori vengono
inclusi nel paniere. Nel mercato italiano sono quotati diversi Etf quantitativi, con diversi index provider e diverse
metodologie di selezione, che investono principalmente sul più maturo mercato statunitense, come per gli Etf emessi da PowerShares o da Spa Etf. Alcuni index provider hanno cominciato però a sondare anche il vecchio continente. Il fondo “Lyxor Etf Wise Quantitative Strategy” è il primo esempio di Etf quantitativo a valere su titoli europei. Il fondo replica l’indice Sgi Wise Long, basato sulla strategia
Wise (Winning Investment Strategies in Equities), sviluppata nel 2000 dal Quantitative Research team di Société Générale. Il modello Wise prevede la selezione di 200 titoli potenzialmente overperformanti nel lungo periodo, partendo da un basket di circa 600 titoli ed effettuando uno
screening dapprima in base alla liquidità e alla capitalizzazione (minimo 3mld€) delle società, poi in base a quattro criteri “Value” e a quattro criteri “Momentum”.