Finanzacademy: l’impatto del rating sul mercato finanziario. Studi teorici ed evidenze empiriche

rating

Lo scopo per cui le agenzie di rating nascono e si sviluppano è quello di costituire un soggetto terzo rispetto al mercato, capace di garantire un supporto agli investitori attraverso un giudiziosull’affidabilità creditizia dei prenditori ed eliminare, o almeno ridurre, le inefficienze derivanti dall’asimmetria informativa. L’esperienza della crisi asiatica del 1997/98 ha stimolato una profonda riflessione sul ruolo delle agenzie di rating nelle dinamiche dei mercati finanziari internazionali.

In particolare si è cercato di appurare se le agenzie riescano effettivamente ad agire come soggetti terzi rispetto ai mercati o se invece esse, con le loro decisioni, siano in grado di influenzarli, modificandone la dimensione, la volatilità, influendo sulle tendenze dei flussi di capitali e determinando variazioni deicosti di indebitamento. Nel seguito si cercherà di porre in rilievo l’entità e le modalità con cui le agenzie di rating esercitano un
impatto sul mercato internazionale del debito pubblico, attraverso l’analisi e il confronto dei principali studi empirici relativi a questa materia. Come vedremo, letteratura è piuttosto concorde nell’attribuire alle agenzie di rating un impatto significativo sul mercato finanziario, dimostrando che le azioni di
rating, in generale, determinano variazioni degli interest spread e, quindi, variazioni del costo di indebitamento dei paesi emergenti.
Anche se i rating e gli interest spread sono chiaramente correlati, essendo in ultima analisi due misure del rischio di insolvenza, non è assolutamente ovvio che i primi influenzino i secondi. La correlazione osservata, infatti, potrebbe essere il risultato del fatto che investitori e agenzie condividano un set informativo comune relativo alla rischiosità dell’emittente, pur rimanendo le due variabili del tutto indipendenti.
Proprio in relazione alla disponibilità e alla diffusione di informazioni da parte delle agenzie di rating, esistono due visioni alternative:
1. Le agenzie di rating sono specializzate nell’ottenere e nell’elaborare informazioni, soprattutto relativamente ai paesi emergenti, in cui vi è maggiore asimmetria informativa, e l’annuncio di un nuovo rating riflette la disponibilità, da parte delle agenzie, di nuove informazioni sull’emittente. Questa visione è coerente con l’esistenza dell’impatto dei rating sul mercato finanziario, che si verifica attraverso l’aggiustamento delle scelte degli operatori sulla base delle notizie diffuse dalle agenzie.
2. Le agenzie di rating hanno accesso soltanto alle informazioni pubblicamente disponibili e generalmente seguono il mercato nella loro elaborazione, analisi e interpretazione. Secondo questa visione, i rating non hanno un impatto sul mercato finanziario, in quanto esso sarebbe in grado di anticipare sistematicamente le agenzie.
Dato che la maggior parte degli studi empirici dimostra l’esistenza di una relazione di causalità dei rating nei confronti degli spread, questa seconda interpretazione sembra poter essere rifiutata. Di seguito vengono analizzati alcuni dei principali studi relativi all’impatto dei rating sul mercato finanziario. Cantor e Packer in “Determinants and Impact of Sovereign Credit Rating” (1996) studiano l’impatto dei rating sul mercato finanziario attraverso gli effetti che questi determinano sugli interest spread. I dati utilizzati sono la media dei rating di Standard & Poor’s e Moody’s, relativi a 35 paesi industrializzati ed emergenti, raccolti nell’autunno 1995 e gli spread di obbligazioni estere denominate in dollari, calcolati rispetto al rendimento dei buoni del tesoro americani, nello stesso periodo.
Una prima regressione del logaritmo degli spread sui rating medi evidenzia un alto potere esplicativo di questo regressore ed un alto livello di significatività. La relazione tra le due variabili, come atteso, è negativa: un aumento del rating determina una diminuzione dello spread. In altre parole, una minore probabilità di default è associata ad un minore costo del debito. Confrontando questa prima regressione con una seconda del logaritmo degli spread sulle variabili macroeconomiche che determinano i rating, risulta che i rating spiegano le variazioni degli spread più di quanto non lo facciano complessivamente le singole determinanti dei rating stessi. Ciò sembra dimostrare che i rating abbiano un valore esplicativo addizionale rispetto alle loro determinanti nei confronti degli spread e che apportino al mercato finanziario informazioni aggiuntive, non disponibili in altre fonti pubbliche.
Un’analisi più accurata, con un approccio “event study”, viene condotta per valutare in dettaglio l’impatto dei rating sugli spread. Per le azioni di rating sono considerati 79 eventi tra annunci di aumento o diminuzione dei rating e annunci di credit watch o rating outlook da parte di Standard & Poor’s e Moody’s, rilevati tra il 1987 e il 1994; per quanto riguarda gli spread sono considerate le variazioni medie dello spread relativo nel giorno precedente e nel giorno successivo all’azione di rating.
L’analisi di questi dati suggerisce le seguenti conclusioni:
1. Complessivamente, le azioni di rating hanno un impatto sugli spread, rilevante e statisticamente significativo;
2. L’impatto è maggiore per i rating di speculative grade rispetto a quelli di investment grade;
3. I risultati ottenuti per gli effetti di annunci di abbassamenti di rating, annunci di credit watch e rating outlook e annunci da parte di Standard & Poor’s non sono statisticamente significativi.
Escludendo queste variabili non significative, viene effettuata un’ulteriore regressione dello spread relativo sulle variabili residue che sono state osservate essere maggiormente influenti: gli aumenti di rating, le variazioni effettive di rating (aumenti e/o diminuzioni), le azioni di rating relative a speculative grade e le azioni di rating di Moody’s. I risultati di questa regressione indicano che l’impatto dei rating sugli spread è maggiore nel caso gli annunci siano fatti da Moody’s e nel caso di rating di speculative grade; al contrario, gli spread non sembrano essere sensibili rispetto alle altre variabili considerate.
Infine viene analizzata un’ulteriore problematica, relativa al potenziale effetto di diluizione dell’impatto dei rating sugli spread, esercitato dall’anticipazione da parte del mercato delle informazioni su cui si basano le agenzie per le loro stime.
Sono costruite tre variabili, le quali vengono inserite prima singolarmente e poi contemporaneamente nell’ultima regressione considerata, quella degli spread su aumenti di rating, variazioni effettive di rating, azioni di rating relative a speculative grade e azioni di rating da parte di Moody’s. Le tre nuove variabili sono: la variazione dello spread relativo nei sessanta giorni precedenti l’azione di rating; il segno del gap tra il nuovo rating e il rating medio delle altre agenzie relativo allo stesso emittente; una variabile dummy, uguale ad 1 se nei sessanta giorni precedenti l’annuncio di rating c’è stato un cambiamento di rating dello stesso segno (l’osservazione dei dati, infatti, mostra la tendenza dei rating ad essere correlati positivamente). L’inclusione di queste variabili nel modello dimostra che, contrariamente alle aspettative, l’anticipazione del mercato non riduce significativamente l’impatto degli annunci di rating. Anzi, poiché le ultime due variabili incluse risultano altamente significative, si può concludere che l’impatto dei rating è maggiore quando il nuovo rating conferma quelli delle altre agenzie o altri precedenti annunci di rating.
Reisen e Von Maltzan in “Boom and Bust and Sovereign Rating” (1999) svolgono uno studio analogo sull’impatto dei rating sugli spread, utilizzando però un campione più vasto (152 annunci di rating) e più recente: le osservazioni sono infatti raccolte nel periodo dal 1989 al 1997, in modo da catturare gli effetti della crisi asiatica e dell’emissione dei Tesobono messicani. Inoltre, l’analisi è maggiormente focalizzata sui paesi emergenti.

L’analisi delle variazioni medie negli spread relativi in seguito alle azioni di rating suggerisce tre conclusioni principali:
1. Mentre le azioni di rating di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch IBCA singolarmente non producono una risposta statisticamente significativa degli spread, gli annunci di rating aggregati delle tre agenzie possono produrre effetti significativi nella direzione attesa. Tale effetto si verifica nei dieci giorni successivi all’annuncio di rating, mentre in seguito si ha un inversione di tendenza dello spread, che può essere indicativa dell’iniziale overshooting o di azioni di politica sui rating.
2. Gli abbassamenti di rating effettivi hanno l’effetto di aumentare lo spread. Questa tendenza si verifica già prima dell’annuncio (il mercato anticipa le agenzie) e si protrare per circa venti giorni.
3. I credit watch e rating outlook positivi sono anticipati da una diminuzione dello spread; in seguito all’annuncio, tuttavia, l’effetto sugli spread svanisce.
Inoltre, Reisen e Von Maltzan hanno dimostrato l’esistenza di una doppia e reciproca relazione causale tra rating e interest spread. Effettuando un test di Granger su un set di dati panel relativi a rating e spread su obbligazioni denominate in dollari per un campione di paesi emergenti e non, rilevati nel periodo dal Gennaio 1988 al Dicembre 1997, viene dimostrato che variazioni degli spread determinano variazioni dei rating e che, allo stesso tempo, variazioni di rating determinano variazioni degli spread; tale relazione è più forte quando sono considerati complessivamente i rating di Standard &Poor’s, Moody’s e Fitch IBCA.
Kraussl in “Do Credit Rating Agencies Add to the Dynamics of Emerging Market Crises?” e in “Do Changes in Sovereign Credit Ratings Contribute to Financial Contagion in Emerging Market Crises?” (2003) analizza l’impatto dei rating sul mercato finanziario attraverso l’osservazione delle variazioni dell’indice SMP (speculative market pressure) conseguenti ad azioni di rating. Questa scelta trova giustificazione nel fatto che molti paesi emergenti non
hanno un mercato di obbligazioni sovrane sviluppato, rendendo problematica la costruzione di un data set di spread relativi a questo tipo di strumenti finanziari; inoltre, soprattutto nei periodi di crisi, le obbligazioni sovrane non vengono trattate su basi regolari e quindi possono non essere prezzate accuratamente. L’indice SMP include tutte le variabili che subiscono ripercussioni durante una crisi finanziaria: il tasso di cambio nominale, il tasso d’interesse di breve termine e l’indice dei prezzi di borsa.
Il data set è costituito da rating sovrani su debito di lungo termine denominato in valuta estera, assegnati da Standard & Poor’s e Moody’s. Il periodo di osservazione va dall’1 Gennaio 1997 al 31 Dicembre 2000 e cattura le turbolenze finanziarie del Sudest asiatico, della Russia e del Brasile. In totale il campione è formato da 302 annunci di rating (variazioni di rating effettive e annunci di credit watch e rating outlook) per 28 paesi emergenti.
Gli altri dati necessari per costruire l’indice SMP sono i tassi nominali di cambio, rilevati con frequenza giornaliera per ciascun paese rispetto al dollaro americano, i tassi d’interesse di breve termine, misurati con i tassi d’interesse interbancari overnight, che costituiscono una buona indicazione della condizione di liquidità del mercato valutario, e i prezzi di mercato dei titoli, approssimati dai maggiori indici di borsa di ciascun paese. L’indice SMP è costruito come media ponderata di queste tre componenti, in cui i pesi sono determinati in modo da uguagliare le volatilità delle tre variabili, tra di loro molto diverse. La relazione tra rating e indice SMP è negativa, infatti: una diminuzione del rating determina un aumento del tasso di cambio nominale, misurato incerto per certo, e del tasso d’interesse di breve termine; gli indici di borsa, al contrario, diminuiscono, ma tale variazione viene moltiplicata per -1, in modo che un abbassamento di rating sia sempre associato ad un aumento dell’indice SMP e viceversa. L’analisi di Kraussl valuta le variazioni dell’indice SMP in un intervallo di tempo di venti giorni centrato nel giorno dell’annuncio di rating; i principali risultati sono:
1. Gli abbassamenti di rating generano una forte reazione del mercato finanziario, avendo un effetto statisticamente significativo sull’indice SMP, soprattutto nel periodo dall’annuncio fino ai dieci giorni successivi; al contrario, aumenti di rating hanno un impatto molto minore sul mercato finanziario, in quanto non influiscono sull’indice SMP se non nel solo giorno dell’annuncio, ma con un basso livello di significatività.
2. L’assegnazione di credit watch e rating outlook negativi genera una forte reazione del mercato, con un aumento dell’indice SMP altamente significativo; anche l’assegnazione di credit watch e rating outlook positivi ha un rilevante impatto sull’indice SMP, anche se leggermente inferiore a
quelli negativi.
3. Gli annunci di rating non anticipati da credit watch o rating outlook, sia positivi che negativi, determinano una forte risposta dei mercati, con grandi variazioni dell’indice SMP nel giorno dell’annuncio di rating e nei dieci giorni successivi; al contrario, nessuno degli annunci di rating anticipati da credit watch o rating outlook è associato a variazioni significative dell’indice SMP. Questo risultato indica che quando le agenzie annunciano i credit watch ed i rating oulook, i partecipanti del mercato finanziario si aspettano cambiamenti futuri di rating nella direzione suggerita dalle agenzie e quindi anticipano le loro decisioni.
4. I risultati raggiunti finora potrebbero essere inficiati dalla situazione, almeno teorica, per cui al momento dell’annuncio di un nuovo rating, la reazione del mercato non sia dovuta al nuovo rating in sè ma alla sopraggiunta disponibilità di nuove notizie relative all’emittente, le stesse che hanno determinato la variazione di rating.

Per testare questa ipotesi, vengono considerate separatamente le azioni di rating “contaminate” e quelle “incontaminate” da nuove informazioni pubbliche; le azioni di rating “incontaminate” consistono in variazioni di rating non accompagnate dalla contemporanea diffusione nel mercato di notizie relative all’emittente. In questo modo, la reazione del mercato sarà dovuta inequivocabilmente al rating in sè e non ad altri fattori. Il risultato di questa analisi suggerisce che, sebbene l’impatto sia più forte nel caso di rating “contaminati”, anche i rating “incontaminati” producono effetti rilevanti e significativi sull’indice SMP, confermando l’impatto dei rating sul mercato finanziario.
Tra i diversi modelli proposti, il più affidabile sembra quello proposto da Kraussl: il periodo di osservazione è il più recente (1997/2000), il campione di azioni di rating è ben nutrito (302 osservazioni) e anche i paesi osservati sono numerosi. Un altro vantaggio dell’analisi di Kraussl è che considera l’impatto dei rating sull’indice SMP anziché sugli spread; questo tipo di approccio, probabilmente, è più efficace nel sintetizzare gli effetti complessivi dei rating sull’intero settore finanziario.
Una volta accertato l’impatto delle agenzie di rating sugli interest spread, risulta interessante analizzare le reali conseguenze delle decisioni delle agenzie stesse sui mercati finanziari, soprattutto in relazione alle crisi finanziarie. Il punto centrale è quello di capire se le agenzie attenuino o aggravino le crisi finanziarie. L’ipotesi di neutralità sembra poter essere esclusa alla luce degli studi precedentemente analizzati, i quali dimostrano le forti implicazioni delle variazioni dei rating per i mercati finanziari.

Negli anni ‘90 si sono verificati numerosi “boom-bust cycle” nel mercato dei prestiti ai paesi
emergenti, che sono culminati con la crisi asiatica del 1997/98. Un boom cycle si verifica quando gli afflussi di capitali ai paesi emergenti sono accompagnati da aumenti di rating da parte delle agenzie; questa situazione crea aspettative ottimistiche tra i partecipanti al mercato e determina ulteriori afflussi di capitali di breve termine, i quali contribuiscono alla vulnerabilità finanziaria del paese. Un bust cycle, invece, origina da un iniziale piccolo deflusso di capitali da un paese emergente; il seguente aumento dello spread porta le agenzie ad abbassare il rating e questo, a sua volta, è interpretato dagli investitori come un segnale per ritirare ulteriori capitali. Il risultato è che lo spread diventa ancora più grande e le agenzie continuano ad abbassare i rating. Il ripetersi di questo circolo vizioso può innescare una vera crisi finanziaria. Le agenzie ricoprono un ruolo cruciale all’interno di questi cicli, in quanto possono contribuire, a seconda del loro comportamento, ad attenuare o ad esasperare i boom-bust cycles, attraverso l’impatto esercitato dai rating sugli spread. Il punto cruciale è rappresentato dalla relazione di reciproca causalità tra rating e interest spread rilevata da Reisen e Von Maltzan (1999):
1. Se le agenzie di rating si comportano in modo anticiclico e le variazioni di rating non sono conseguenza delle variazioni degli spread, il boom-bust cycle viene attenuato: durante il boom, una pronta diminuzione del rating può smorzare le aspettative euforiche e ridurre i flussi di capitali privati di breve termine, nocivi per la stabilità finanziaria di un paese;
2. Se invece le agenzie si comportano in modo prociclico e le variazioni dei rating sono conseguenza delle variazioni degli spread, il boom-bust cycle viene amplificato: durante il boom, un miglioramento dei rating rinforzerebbe le aspettative dei partecipanti al mercato e stimolerebbe un eccessivo afflusso di capitali.
È proprio relativamente a questo tipo di dinamica che le agenzie di rating sono state spesso criticate: molti osservatori di mercato hanno accusato le agenzie di essersi comportate in modo prociclico e di avere quindi contribuito ad aggravare le crisi finanziarie. Gli studi di Reisen e Von Maltzan e Kraussl confermano questa ipotesi, in quanto movimenti degli spread vengono osservati anche nei periodi antecedenti le azione di rating, indicando che le agenzie intervengono all’interno di dinamiche già in corso. L’esempio più eclatante di questo tipo di comportamento prociclico delle agenzie si è avuto in occasione della recente crisi asiatica. I cambiamenti di rating sui mercati emergenti asiatici, osservati nel periodo tra il Luglio 1997 e il Novembre 1998, sono stati i più grandi ed improvvisi nella moderna storia dei rating sovrani: il rating della Corea del Sud è stato abbassato di otto gradini, quello della Malesia di cinque, e quello della Tailandia di quattro; molti paesi sono passati dall’investment grade allo speculative grade.
I partecipanti del mercato e le istituzioni finanziarie internazionali hanno sollevato critiche sulla condotta delle agenzie, sostenendo che queste non erano state in grado di mettere in guardia il mercato dalla difficile situazione asiatica e che i rating erano stati abbassati soltanto dopo l’inizio della crisi. Le agenzie che avevano compreso di aver commesso degli errori hanno provato a giustificarsi, sostenendo che la crisi asiatica aveva avuto caratteristiche diverse rispetto al passato: in questo caso infatti la finanza pubblica era in ordine ed erano stati soltanto i problemi del settore privato ad aver innescato la crisi. Questa novità, secondo le agenzie, aveva reso impossibile le previsioni, poichè queste si basavano su modelli statistici che non tenevano conto, ancora, della vulnerabilità del settore privato.
Una possibile spiegazione del fatto che le agenzie si comportino prociclicamente è quella proposta da Ferri, Liu e Stiglitz in “The Procyclical Role of Rating Agencies: Evidence from the East Asian Crisis” (1999). Il successo di una agenzia di rating dipende in grande parte dalla propria reputazione; situazioni come quella della crisi asiatica costituiscono una seria minaccia alla reputazione delle agenzie e le loro errate valutazioni sono accompagnate da bassi recuperi di capitale investito. Secondo questa logica, le agenzie sarebbero incentivate ad annunciare rating più bassi, in seguito a crisi inaspettate, come
tentativo di ricostruire il loro capitale di reputazione. Allo stesso modo, in periodi di espansione economica le agenzie non dovrebbero preoccuparsi di ricostruire il loro capitale reputazionale e potrebbero quindi lasciarsi andare a valutazioni più generose. Secondo Reisen e Von Maltzan, gli abbassamenti di rating così inusuali e intempestivi hanno rinforzato la crisi nella regione asiatica in diversi modi: le banche commerciali non hanno più potuto emettere lettere di credito internazionali per esportatori ed importatori locali; gli investitori internazionali hanno dovuto disfarsi delle attività asiatiche che erano state degradate a speculative grade; ma soprattutto, essi hanno avuto un impatto diretto sugli spread, facendoli aumentare e determinando, conseguentemente, un maggiore costo del debito per i paesi asiatici emergenti. Tuttavia, Kraussl in “Sovereign Credit Ratings and their Impact on Recent Financial Crises” (2000) dimostra che un abbassamento di rating durante una fase di deflusso di capitali non necessariamente
aggrava la crisi finanziaria.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, infatti, esistono due variabili che giocano un ruolo cruciale durante una crisi finanziaria: gli interest spread e la posizione di liquidità internazionale di breve periodo (data dall’ammontare delle riserve al netto del debito totale di breve periodo). Nel caso del Messico abbiamo una conferma della teoria dei boom-bust cycle: la diminuzione di un gradino del rating del debito messicano nel Gennaio 1995 e un rating outlook negativo hanno determinato aumenti dello spread e intensificato la crisi finanziaria. Le riserve internazionali detenute dal Messico avevano subito un fortissimo declino prima dell’abbassamento di rating, passando da 26.630 milioni di dollari americani nel Gennaio 1994 ad un minimo di 6.278 milioni di dollari nel Dicembre dello stesso anno; in seguito all’abbassamento di rating, le riserve hanno cominciato ad aumentare ma lentamente ed in modo discontinuo.
Nel caso della Corea del Sud, nonostante l’abbassamento del rating sia stato molto deciso (addirittura otto gradini nell’arco di soli due mesi dal Novembre 1997 al Dicembre 1997), l’impatto sulla posizione di liquidità internazionale è stato molto leggero: si è passati infatti da un volume di riserve internazionali di 34.000 milioni di dollari americani nel Dicembre 1996 ad un volume di 23.478 milioni di dollari nel Gennaio 1998. L’abbassamento di rating delle agenzie ha addirittura contribuito ad una più rapida conclusione della crisi finanziaria. A partire dal Gennaio 1998, nello stesso periodo in cui le riserve internazionali coreano hanno toccato il minimo, le agenzie hanno cominciato a rialzare i rating della Corea del Sud e anche le riserve internazionali hanno intrapreso un trend di crescita assai sostenuta e prolungata.
Le principali conclusioni a cui giunge Kraussl sono:
3. Contrariamente a ciò che è comunemente ritenuto, forti abbassamenti di rating non necessariamente intensificano una crisi finanziaria, al contrario essi possono contribuire a farla concludere più velocemente;
4. Come dimostra il caso della crisi messicana del 1995, un graduale abbassamento dei rating può intensificare una crisi finanziaria;
5. Una agenzia di rating consapevole che un iniziale abbassamento di rating determinerà effetti di mercato (aumento degli spread e deflusso di capitali) i quali a loro volta indurranno ulteriori abbassamenti di rating, può operare in modo lungimirante, effettuando un unico e consistente abbassamento iniziale, in modo da evitare la fase bust e contribuire ad una conclusione più rapida della crisi finanziaria. Appare ormai evidente che, nonostante le agenzie di rating non abbiano la pretesa di interferire nelle dinamiche di mercato, la loro terzietà è resa inevitabile proprio dalla natura stessa dell’attività che svolgono: l’annuncio di un nuovo rating costituisce un aggiornamento della stima della rischiosità di un emittente, sulla base della disponibilità di nuove informazioni riservate; la diffusione al mercato di tali nuove informazioni, a sua volta, è la premessa fondamentale per l’aggiustamento delle scelte di investimento da parte degli operatori di mercato.
A seconda delle diverse situazioni contingenti, come abbiamo visto, l’impatto delle agenzie può determinare conseguenze positive o negative per la stabilità dei mercati finanziari e per la capacità di finanziamento dei paesi. L’esito di ogni intervento può essere impossibile da stabilire a priori ed avere effetti controversi. In ogni caso, occorre tenere presente che lo scopo delle agenzie di rating non è quello di attenuare o prevenire le crisi finanziare ma soltanto quello di fornire stime efficienti sulla posizione finanziaria e sulla probabilità di default degli emittenti di debito, tali da riflettersi in una altrettanto efficiente allocazione delle risorse del mercato.
Alla luce di questa considerazione, la bontà di un rating non può essere valutata nella misura in cui esso contribuisca ad attenuare o ad intensificare un ciclo. Un nuovo rating è un “buon” rating se rispecchia con coerenza la nuove informazioni sull’emittente, se è indipendente dai cicli finanziari e se non è
influenzato dalle specifiche situazioni contingenti in cui si trovano i mercati; soltanto in questo modo le conseguenti variazioni dell’interest spread e dell’indice SMP potranno essere coerenti con la posizione e la credibilità finanziaria del paese valutato e condurre all’aggiustamento delle scelte degli investitori internazionali verso una efficiente allocazione delle risorse.